Il passato è passato. Ci penso costantemente. Avrei potuto fare di meglio. Avrei potuto fare di più.
Il futuro non è ancora qui. Ci penso costantemente. Cosa fare? Dove andare? Non voglio certo farmi cogliere impreparata.
E adesso? Posso concedermi di fermarmi? Di guardarmi dentro? Di provare a capire chi sono e cosa voglio? Di scovare quell’idea dirompente che sicuramente è nascosta – o meglio, barricata – dentro di me?
Ho le antenne dritte. Ho cominciato a chiedere informazioni. Sto imparando a non presumere, a non dare per scontato, a rispondere: dipende. Ho letto che le competenze non si sviluppano spontaneamente, che bisogna diventarne consapevoli e valorizzarle. E allora, che mappe siano! Sommersa dai post-it lavoro alla mia proposta di valore. Progetto un’ipotesi di me e provo a divergere in attesa che le acque si facciano più limpide, che gli gnocchi vengano a galla.
E che la serendipità, la transilienza e Limoges m’assistano!
Ah, dimenticavo, Jon Kabat Zinn mi ha letto nel pensiero quando ha detto: “La paura può essere quella di scoprire che siamo meno di ciò che crediamo, mentre la verità è che siamo molto, molto di più.”